Il danno da perdita del rapporto parentale subito iure proprio dagli eredi si calcola sulla base dei criteri individuati dalla Tabella del Tribunale di riferimento (il rapporto di parentela, l’età della vittima e del congiunto, la convivenza, la presenza nel nucleo familiare di altri conviventi o di altri familiari non conviventi), e comprende le due diversi componenti del danno non patrimoniale: l’aspetto interiore del danno sofferto e quello dinamico-relazionale per il peggioramento delle condizioni di vita del congiunto superstite.
La Suprema Corte ha recentemente chiarito , seguendo il proprio orientamento ormai consolidato, che “la prova del danno non patrimoniale da sofferenza interiore per la perdita del familiare può essere fornita mediante presunzione fondata sull’esistenza dello stretto legame di parentela riconducibile all’interno della famiglia nucleare, superabile dalla prova contraria, gravante sul danneggiante, imperniata non sulla mera mancanza di convivenza (che, in tali casi, può rilevare al solo fine di ridurre il risarcimento rispetto a quello spettante secondo gli ordinari criteri di liquidazione), bensì sull’assenza di legame affettivo tra i superstiti e la vittima nonostante il rapporto di parentela” (v. Cass. Civ, sent. n. 10335/2023).
In pratica in caso di perdita del rapporto parentale, fermo restando l’onere di allegazione basato anche su presunzioni, ciascuno dei famigliari superstiti ha diritto a una liquidazione comprensiva dell’intero danno non patrimoniale patito, da determinarsi seguendo una tabella basata sul “sistema a punti”, che preveda l’estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l’elencazione delle circostanze di fatto per l’indicazione dei relativi punteggi, quali il rapporto di parentela, anche a prescindere dal rapporto di convivenza, la durata e l’intensità del vissuto, l’età della vittima e del superstite, le caratteristiche del nucleo familiare superstite, provate anche in via presuntiva e secondo nozioni di comune esperienza, spettando all’altra parte la prova contraria di situazioni che compromettano l’unità, la continuità e l’intensità del rapporto familiare (per es. l’assenza di un saldo vincolo affettivo, l’esistenza di dissapori intrafamiliari, l’anaffettività del superstite nei confronti del defunto).
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